Il crollo della lira turca sta avendo forti contraccolpi sui mercati finanziari.
Il cambio di Ankara ha perso fino a un massimo del 20% nel corso della seduta di venerdì scorso e il 45% quest’anno. La fuga dei capitali dalla Turchia ha spinto i rendimenti sovrani sopra il 20% per i bond a 10 anni e al 25% quelli a 2 anni. La Borsa di Istanbul ha perso quest’anno quasi un quinto del suo valore, per cui possiamo parlare a tutti gli effetti di una vera e propria crisi finanziaria scatenatasi nella 13-esima economia del pianeta. Un bel problema da gestire, trattandosi di uno stato-cuscinetto tra il Medio Oriente e l’Europa.
La Turchia risulta indebitata verso banche europee per 265 miliardi di dollari sui 467 miliardi di debiti complessivamente contratti in valuta estera. Le esposizioni principali si hanno in Spagna (circa 85 miliardi), in Francia (37), Regno Unito (18) Italia e Germania (17 a testa). Non è un caso che i titoli bancari europei abbiano perso mediamente l’8,5% in un paio di settimane. I debiti in valuta estera saranno, infatti, più difficili da onorare per le imprese turche, ora che la loro lira vale molto di meno.
A rischio, poi, vi sono quei 100 miliardi di euro in esportazioni all’anno dell’Unione Europea verso la Turchia. Con un cambio molto più debole, normale che parte di questo export verrà meno, specie se Ankara si trovasse costretta a prendere misure dall’impatto recessivo sull’economia turca.
Anche scontando questi rischi, il cambio euro-dollaro è sceso ai minimi da 13 mesi, attestandosi fin sotto 1,14 e perdendo ad agosto il 3%. I rendimenti decennali dei Bund sono scivolati in prossimità dello 0,30% dallo 0,40%, allargando gli spread con gli altri bond, tra cui specialmente quelli italiani, i cui rendimenti a 10 anni sono saliti al 3,10%.
Ma nel complesso quali sarebbero le ripercussioni per l’economia europea e, in particolare, nell’Area Euro? Bisogna verificare, anzitutto, quale sarà il prosieguo di questa crisi, ovvero se le istituzioni turche riusciranno a reagire e a riportare la calma tra gli investitori o se deterioreranno ulteriormente la già scarsa fiducia dei mercati. In generale, tutto ciò che crea instabilità finanziaria attorno all’Area Euro non può essere percepito che come una minaccia per l’unione monetaria stessa.
La BCE si trova nella fase delicata di transizione verso una normalizzazione della sua politica monetaria. Gli acquisti di bond attraverso il “quantitative easing”, condotti sin dal marzo 2015, verranno dimezzati dal mese prossimo e fino alla fine dell’anno al ritmo di 15 miliardi di euro al mese, per essere successivamente azzerati. Quanto ai tassi, il governatore Mario Draghi ha avvertito che essi rimarranno stabili fino all’estate prossima, preparando i mercati a una possibile svolta per la seconda metà dell’anno prossimo. La crisi turca, infiammando l’umore degli investitori, crea quelle condizioni perché a Francoforte prevalga nelle prossime settimane la prudenza, specie se, come sembrerebbe, anche la Federal Reserve potrebbe segnalare altrettanto con riferimento alla prosecuzione della stretta monetaria per l’anno prossimo.
La fuga degli investitori verso i bond “core” come Bund, Treasuries e titoli svizzeri, nel caso dell’Area Euro rischia di accrescere la segmentazione dei mercati, un fatto che non si sposerebbe bene con la previsione di tassi in aumento nell’imminenza. Per questo, Draghi potrebbe già al board di settembre mostrare toni rassicuranti sia sull’impatto che la crisi turca ha sulla nostra economia, sia sulla capacità di reazione dell’istituto alle incertezze globali. In fondo, la debolezza dell’euro starebbe scontando proprio uno scenario più accomodante di quello imperante fino a qualche settimana fa.
Da non sottovalutare i rischi politici connessi alla crisi turca. Alle frontiere meridionali del paese si trovano 3 milioni di rifugiati siriani, che il presidente Erdogan potrebbe usare come leva politica per ottenere dalla UE nuovi aiuti finanziari o per mettere pressione sull’America, la quale ha annunciato il raddoppio dei dazi sulle importazioni di acciaio e alluminio dalla Turchia. Una nuova crisi dei migranti avrebbe contraccolpi politici enormi in tutta Europa, quando mancano 9 mesi alle elezioni europee e la leadership tedesca vacilla già da un anno a questa parte. E difficilmente la BCE potrebbe muoversi con un rialzo dei tassi o con toni da “falco” in uno scenario economico-politico avverso.