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Home Attualità

Quantitative easing e BTp: cosa succede con il taglio degli stimoli BCE?

Giampiero Guadagni by Giampiero Guadagni
Agosto 17, 2018
in Attualità, Economia, Europa, Finanza, Mondo
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Quantitative easing
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Dall’1 settembre prossimo, la BCE dimezzerà gli acquisti di assets realizzati con il cosiddetto “quantitative easing”. Fino a dicembre, verranno comprati sul mercato secondario titoli di stato, Abs, covered e corporate bond per 15 miliardi al mese dai 30 attuali. Tenendo presente che si calcolano in 4,5 miliardi di euro i BTp acquistati dalla BCE mensilmente, tale importo verrà ridotto a 2,2-2,3 miliardi. Scontando tale novità, il mercato si è preparato già per tempo e i rendimenti italiani sono lievitati più di tutti gli altri nell’Area Euro, salendo sopra il 3,10% per la scadenza a 10 anni e ampliando lo spread con i Bund emessi dalla Germania intorno ai 280 punti base.

Fa impressione notare che la Spagna offre meno della metà per i suoi Bonos a 10 anni e che per le scadenze più brevi, i nostri bond risultano essere gli unici insieme alla Grecia a rendere sopra lo zero. Perché? Due i fattori principali di preoccupazione. Il primo è politico: con la nascita del governo Conte, sostenuto da due formazioni euro-scettiche (Lega e Movimento 5 Stelle), i mercati finanziari temono che la disciplina fiscale, già carente negli anni precedenti, venga abbandonata del tutto per adempiere ad alcune promesse elettorali costose, come la “flat tax”, il reddito di cittadinanza e lo smantellamento della legge Fornero. Secondariamente, l’Italia figura come il secondo stato europeo più indebitato dopo la Grecia e tra gli ultimissimi per ritmo di crescita del pil. Di questo passo, il debito pubblico italiano rischia di diventare insostenibile, specie se a Roma non si costituiscano le adeguate coperture per i maggiori oneri per rifinanziare le emissioni in scadenza.

LEGGI ANCHE:   Effetto leva o “leverage”: cos’è e perché si mostra rischioso e indispensabile allo stesso tempo

L’aumento medio dei rendimenti dell’1% lungo tutta la curva delle scadenze comporta un aggravio di spesa per interessi pari a 20 miliardi all’anno a regime. Poiché mediamente ogni anno arriva a scadenza un settimo del debito emesso, al netto delle nuove emissioni nette, significa che dovremmo attenderci sui 4 miliardi di spesa in più. Sembrano pochi, ma a regime valgono oltre l’1% del pil e stiamo ipotizzando che i rendimenti salgano solo dell’1%, mentre rispetto alla metà di maggio, quando si è scatenato il “sell-off” sui nostri titoli di stato, risultano già esplosi di 140 punti base (1,4%) per la scadenza a 10 anni e altrettanto per quella a 2 anni. In una condizione monetaria “normale”, i nostri BTp decennali non verrebbero verosimilmente collocati sul mercato a rendimenti inferiori al 4,5%, praticamente il triplo rispetto a quanto abbiano reso nel periodo di bonanza che ci siamo messi alle spalle.

E’ pur vero che dal gennaio dell’anno prossimo gli acquisti della BCE non cesseranno del tutto. Verranno reinvestiti i proventi derivanti dai bond in scadenza e nel portafoglio dell’istituto, ma nell’intero 2019 si stima che per i BTp si abbiano a disposizione solo 29 miliardi di euro, molti meno degli oltre 47 miliardi presumibilmente impiegati dall’istituto quest’anno per i nostri bond. Poiché le emissioni lorde totali sono attese nell’ordine dei 380 miliardi di euro, di cui 220 miliardi a medio-lunga scadenza, gli investitori privati saranno chiamati a finanziare più dei tre quarti del nuovo debito collocato dal Tesoro.

Quanto ai tassi, il governatore Mario Draghi ha assicurato che non verranno alzati fino all’estate prossima. Il mercato si attende che una prima stretta verrebbe adottata nella seconda metà dell’anno e non è detto che a vararla sia Draghi, il cui mandato scade nell’ottobre 2019 e che potrebbe essere completato senza che l’italiano abbia mai alzato i tassi.

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Che i rendimenti italiani stiano salendo molto più degli altri nell’area rappresenta per noi un brutto segnale, perché implica che, al netto delle tensioni politiche, il nostro Paese verrebbe percepito meno sicuro e affidabile sul piano fiscale. D’altronde, sin da quando la BCE ha avviato il QE nel marzo del 2015 è stata il nostro acquirente marginale, per non dire unico sui mercati, come segnalano anche i saldi decisamente negativi del Target 2, il sistema dei pagamenti dell’istituto intra-euro, che denotano passività esplose a carico della Banca d’Italia fino a ridosso dei 500 miliardi di euro, a fronte di attività della Bundesbank per circa 930 miliardi. In sostanza, gli investitori privati hanno approfittato dell’intervento della BCE per sbarazzarsi dei nostri bond, tant’è vero che oggi appena un terzo del debito italiano negoziabile si trova in mano ad investitori stranieri, tra cui la stessa BCE, al netto delle cui detenzioni la percentuale scenderebbe sotto il 30%, quando nel 2010 era salita al record del 52%.

C’è speranza che la BCE continui ad acquistare titoli di stato e altri assets per un numero superiori di mesi rispetto a quanto annunciato? Sì, ma solo se i fondamentali macroeconomici nell’Eurozona peggiorassero, lasciando intravedere una decelerazione nei tassi di crescita dei prezzi. L’inflazione si è solo da qualche mese nell’area riportata al target (“vicino, ma di poco inferiore al 2%”), sostenuta dalla ripresa dei prezzi del petrolio. Nelle ultime settimane, però, questi sono arretrati in prossimità dei 70 dollari al barile, anche se il cambio euro-dollaro in 6 mesi ha perso il 9,5%, scendendo ai minimi da 13 mesi, sostanzialmente compensando il minore costo (in dollari) dell’energia.

Va detto, però, che la riduzione della divergenza monetaria tra Federal Reserve e BCE sosterrebbe gli afflussi di capitali nell’Eurozona, in previsione di tassi e cambio più alti. In parte, questo fenomeno fungerebbe da “floor” per la caduta dei prezzi dei bond, cioè porrebbe un limite al rialzo dei rendimenti. Il problema è che un’economia percepita debole e politicamente a rischio non verrebbe granché beneficiata da tali flussi in entrata, nonostante oggi investire nei BTp a 10 anni renda complessivamente quasi il 30% cumulato in più di farlo nei Bund di uguale scadenza.

LEGGI ANCHE:   La crisi dei bond italiani: ecco quanto hanno perso i BTp sotto il governo giallo-verde
Tags: BCEBondBtpQuantitative easing
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