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Home Attualità

Spread ai minimi da 2 mesi sulla manovra, ma ecco i 3 fattori di rischio per il debito italiano

Giampiero Guadagni by Giampiero Guadagni
Settembre 20, 2018
in Attualità, Economia, Europa, Finanza, Mercati finanziari, Mondo
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spread italiano
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Buone notizie per l’Italia: i rendimenti dei nostri titoli di stato stanno scendendo di seduta in seduta, pur restando relativamente molto alti. I decennali oggi hanno ripiegato al 2,63%, segnando uno spread con i Bund sulla medesima scadenza a 216 punti base, il livello più basso da due mesi. E i bond a 2 anni sono scesi allo 0,63%, anche in questo caso ai minimi da luglio. Il miglioramento è legato alle voci sulla manovra di bilancio per il 2019 e allo studio da parte del governo Conte. Contrariamente a un’estate caratterizzata da dichiarazioni infuocate, i due principali protagonisti della maggioranza, i vice-premier Matteo Salvini e Luigi Di Maio, hanno attenuato i toni e il ministro dell’Economia, Giovanni Tria, starebbe facendo passare la linea di un deficit all’1,6% per l’anno prossimo, lontano dal 3% massimo consentito dal Patto di stabilità e inferiore persino alle attese dei mercati, che stando a un sondaggio condotto da Bank of America tra 58 gestori del risparmio, sconterebbero attualmente un disavanzo fiscale per il prossimo anno nell’ordine del 2-3% del pil. Ne consegue che se il governo dovesse presentare entro la metà di ottobre una manovra finanziaria con un deficit-obiettivo sotto il 2%, per i BTp ci sarebbe spazio di ulteriore crescita, ovvero i rendimenti diminuirebbero ancora e i prezzi salirebbero. In realtà, importante appare anche la qualità della manovra. Fare qualche decimale di deficit in più di quanto concordato con Bruxelles dal governo passato sarebbe visto come un male minore, se servisse a tagliare le tasse, più negativamente se fosse destinato a finanziare misure di spesa come il reddito di cittadinanza.

Ad ogni modo, la tendenza positiva sembra sostenuta da un ritorno all’appetito da parte dei fondi speculativi. Uno di questi è BlackRock, il fondo obbligazionario numero uno al mondo, che ha mutato da “short” a “neutral” e adesso a “long” la propria posizione sui nostri bond. La ragione non è difficile da comprendere: sono molto più a buon mercato degli omologhi nell’Eurozona. I nostri rendimenti decennali continuano a sostare sui 110-120 punti base al di sopra di quelli spagnoli, per non parlare del differenziale di 215-220 bp rispetto ai Bund. Ora, a meno che non si creda davvero che l’Italia fallisca o esca dall’euro, non ci sarebbe motivo per non acquistare i nostri titoli, che sulle scadenze a medio-lungo termine rendono più dei tassi d’inflazione vigenti in gran parte delle principali economie.

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Mettiamoci un attimo nei panni di un investitore americano. I Treasuries a 10 anni gli offrono ormai il 3%, un decennale italiano il 2,6%. In teoria, i due bond sarebbero equivalente, al netto del rischio Paese, se il cambio euro-dollaro entro la scadenza fosse atteso in rialzo del 4%. Ma considerando che attualmente si aggira a 1,17 e che prima del varo del QE della BCE era poco sotto 1,40, le aspettative sono ben altre per i prossimi anni, quando Francoforte alzerà i tassi, dopo che avrà già dal gennaio prossimo azzerato gli stimoli monetari. Dunque, tra effetto cambio e alti rendimenti, i BTp dovrebbero essere in grado di attirare capitali dall’America, specie se si considera che in giro per il resto dell’Eurozona troviamo bond fin troppo cari. Un biennale tedesco continua a infliggere perdite totali per l’1,30% del capitale investito.

Attenzione, però, a peccare di eccesso di ottimismo. Di ragioni per temere un deterioramento ulteriore dei nostri bond ve ne sono. In primis, perché la crescita economica nell’Eurozona segnala un certo rallentamento negli ultimi mesi, dopo un 2017 trascorso all’insegna di un vigore del pil superiore alle attese. In sé, non sarebbe un vero problema, visto che una crescita meno vivace nell’area finirebbe per allungare i tempi del “tapering”, ossia della normalizzazione monetaria. Tuttavia, il punto è che la crescita starebbe rallentando di più proprio in Italia, dove anche per effetto dei timori legati al nuovo corso politico, il pil quest’anno dovrebbe espandersi più verso l’1% che non l’1,5% precedentemente atteso. Parliamo di percentuali quasi dimezzate rispetto a quelle medie dell’area. E inevitabile sarebbe il contraccolpo sul nostro debito pubblico, già ai vertici della classifica mondiale dopo economie come Giappone e Grecia. Una crescita più lenta implica maggiori difficoltà nel ridurne il peso, aumentando il rischio Paese.

Come detto, poi, la BCE sta per mettere in soffitto gli stimoli e tra circa un anno dovrebbe iniziare ad alzare i tassi, pur con tutta la gradualità promessa. Ciò renderà inevitabile un aumento complessivo del costo del denaro nell’area e anche a parità di spread, crescendo il “benchmark” tedesco, i nostri rendimenti potrebbero lievitare ulteriormente, anche perché in fase di stretta il mercato percepirebbe maggiori rischi a carico delle economie più deboli. Per non parlare del fatto che anche l’euro finirà per apprezzarsi, colpendo le esportazioni italiane, le seconde più alte in Europa dopo la Germania in valore assoluto e rispetto a quelle tedesche più “price sensitive”.

E arriviamo al terzo punto: il fattore esterno. Non solo un euro più forte, ma anche tensioni commerciali o possibili shock economici nel resto del mondo impatterebbero negativamente sull’Italia, data la dipendenza della nostra crescita dalla domanda estera. Vero è, però, che ormai meno del 30% del debito pubblico italiano è in mano a investitori stranieri, cosa che riduce i rischi di una fuga dei capitali verso gli assets sicuri nel caso di una qualche crisi. Proprio oggi, l’America ha annunciato dazi al 10% su 200 miliardi di dollari di prodotti cinesi importati ogni anno, che saliranno al 25% da gennaio. La Cina ha risposto con simili misure su 60 miliardi di dollari di beni americani. La “guerra” commerciale rappresenta un capitolo sensibile per un’economia esportatrice come quella europea e di tutto avremmo come Italia bisogno, tranne che di un rallentamento della crescita nel resto del mondo. Mal comune, mezzo gaudio non si applica sempre letteralmente all’economia. Il rischio di divenire il capro espiatorio di una prossima crisi resta alto. Godiamoci pure il rally dei nostri BTp, ma con quel pizzico di realismo che non guasta.

Tags: Btpbundgoverno italianoItaliaspread
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