Le obbligazioni sono titoli di credito, che consentono al titolare di godere delle cedole periodicamente distribuite dall’emittente (società privata, ente pubblico nazionale o sovranazionale) e di ottenere il rimborso alla scadenza del valore nominale indicato nei titoli medesimi. Per i titoli con scadenza molto ravvicinata (di solito, entro l’anno), le cedole non vengono previste. In ogni caso, esse possono essere di due tipi: fisse o variabili. Le obbligazioni con cedola fissa offrono all’investitore un tasso di interesse annuo certo, mentre le obbligazioni a tasso variabile no. Queste ultime, infatti, prevedono la fissazione di un tasso minimo garantito, al quale si aggiunge solitamente il tasso d’inflazione del periodo o una percentuale legata all’andamento di un indicatore prestabilito, come potrebbe essere un indice azionario, obbligazionario, etc.
Immaginiamo che la cedola sia legata all’andamento dell’inflazione. Questo tipo di obbligazioni si rivela interessante nelle fasi di crescita sostenuta dei prezzi, in quanto aiuta a preservare il potere di acquisto dell’investimento. E così, se l’emittente offrisse una cedola annua dello 0,5% + il tasso d’inflazione del periodo, come rivelato dall’Istat, ovvero dall’istituto di statistica nazionale in Italia, avrò la certezza che, acquistando il bond, otterrò un tasso annuorealedi mezzo punto percentuale, ovvero al netto dell’inflazione. Per confrontare un’obbligazione con cedola fissa e una con cedola variabile di pari scadenza, bisogna guardare ai rendimenti esitati dai due in fase di collocamento sul mercato o di negoziazione sul mercato secondario. Il differenziale tra i due rendimenti determina il tasso d’inflazione annuo medio atteso alla scadenza. Se, ad esempio, un bond sovrano a 5 anni rende il 2% e ha cedola fissa, mentre uno con cedola variabile offre un rendimento dello 0,5%, evidentemente il mercato ritiene che i due titoli siano indifferenti sulla base di un’aspettative d’inflazione media nei successivi 5 anni dell’1,5%. Questo è anche noto come tasso di “break-even”, quello che, cioè, equipara i due titoli sul piano della remunerazione per l’investitore. Se l’inflazione attesa fosse superiore, il mercato venderebbe bond con cedola fissa e acquisterebbe bond con cedola variabile, in quanto questi ultimi coprono la perdita di acquisto della moneta. Pertanto, il rendimento dei primi salirebbe, mentre quello dei secondi scenderebbe, fino a trovare un nuovo “break-even”, un tasso di equilibrio tra i due titoli.
Come avete fatto caso, stiamo utilizzando i termini “interesse” e “rendimento” per segnalare un loro significato diverso. In effetti, così è. Il tasso d’interesse di un bond è determinato dalla cedola annua offerta (fissa o variabile), il rendimento dalla somma tra il suddetto tasso e la differenza (positiva o negativa) tra prezzo di acquisto e prezzo di rimborso alla scadenza, suddivisa per il numero di anni alla scadenza e rapportata al valore dell’investimento. Infatti, un’obbligazione può acquistarsi, sia all’atto della sua emissione o sul mercato secondario, alla pari (prezzo uguale a quello nominale di rimborso), sopra la pari (prezzo superiore a quello nominale di rimborso) o sotto la pari (prezzo inferiore a quello nominale di rimborso). Pertanto, solo nel caso di acquisto alla pari, l’interesse cedolare coinciderà con il rendimento, mentre sarà inferiore nel caso di un acquisto del bond sotto la pari, superiore se il bond viene acquistato a prezzi sopra la pari.