I mutui per la Casa in Italia
I mutui casa sono prestiti concessi dalle banche o società finanziarie, che hanno la finalità di consentire al cliente (mutuatario) di acquistare la proprietà di un immobile dietro la garanzia dell’iscrizione ipotecaria sullo stesso. In realtà, quando si parla di mutui si fa riferimento, in generale, anche a quelli liquidità, ovvero prestiti sconnessi dall’acquisto di un immobile, anche se nel linguaggio comune si presuppone che si tratti sostanzialmente dei mutui casa o mutui ipotecari.
Il mutuo in Italia viene raramente, se non mai, concesso dalla banca in condizioni ordinarie per un valore pari o superiore a quello commerciale dell’immobile. A meno che il cliente non esibisca solide garanzie reddituali e patrimoniali e/o fideiussioni (doppia firma), il valore del mutuo risulterà sempre inferiore a quello commerciale dell’immobile. La prassi bancaria ci dice che il primo non supererà l’80% del secondo. Qual è la ratio? La banca si mette al sicuro dal rischio di insolvenza del cliente. Se non onora il debito, dovrà fare richiesta al giudice di vendere all’asta l’immobile gravato dall’ipoteca, ma a parte che serviranno anni prima di giungere a questa fase, il prezzo a cui avverrà la cessione all’asta si attesta tipicamente su valori nettamente più bassi di quello commerciale, per non dire a una frazione di quest’ultimo. Pertanto, può accadere che un appartamento che sarebbe normalmente venduto a 150.000 euro, all’asta giudiziaria sia assegnato a un compratore per 50-60.000 euro. La banca incorre, quindi, nel rischio di subire perdite potenzialmente elevate e così inizia sin dalla fase di concessione del mutuo a scontare tale scenario riservandosi un margine di non meno del 20%. Questo tende ad aumentare sia sulla base del profilo di rischio del cliente, sia dell’andamento del mercato immobiliare. Con prezzi calanti, infatti, la banca si ritroverebbe in mano un asset dal valore più basso di quello iniziale, indipendentemente da tutto il resto.
Mutuo a tasso fisso o variabile?
Il mutuo può essere stipulato a tasso fisso o a tasso variabile. Nel primo caso, gli interessi restano immutati percentualmente lungo tutta la durata dell’ammortamento, mentre nel secondo caso variano, essendo agganciati ad indici prefissati. Nella stragrande maggioranza dei casi, questi ultimo sono i cosiddetti Euribor, i tassi a cui le banche si prestano denaro tra loro nell’Eurozona, le cui scadenze vanno da 1 a 12 mesi. Nel caso di un mutuo a tasso variabile, gli interessi sono dati non solo dall’Euribor (più raramente dal tasso di riferimento della BCE), bensì pure da uno spread, un tasso fisso che si somma al primo. Ad esempio, se stipulo un mutuo ventennale a tasso variabile e agganciato all’Euribor a 1 mese con spread all’1,5%, significa che se al momento della firma del contratto il tasso di aggancio fosse del -0,35%, il tasso finale che graverebbe sulla rata sarebbe dell’1,15% (- 0,35% + 1,50%). Se l’Euribor a 1 mese salisse allo 0,25%, gli interessi inciderebbero sulla rata per l’1,75% (0,25% + 1,50%), etc.
Sorge spontanea la domanda di quale tipo di mutuo convenga accendere. La risposta è la seguente: dipende dall’andamento dei mercati finanziari. Se abbiamo davanti a noi un periodo presumibilmente lungo di rialzo dei tassi, perché l’economia va bene e/o l’inflazione sta salendo e la banca centrale deve essere più restrittiva, converrà optare per il mutuo a tasso fisso. Rispetto a quello a tasso variabile, pagherò un interesse iniziale più elevato, ma non subisco il rischio di dovere pagare rate più pesanti con l’aumento dei tassi di mercato. Viceversa, se fossimo in grado di prevedere una discesa dei tassi per gli anni seguenti, dovremmo preferire senz’altro il mutuo a tasso variabile, perché così pagheremmo per i primi periodi interessi relativamente più bassi.
E per un mutuatario appare essenziale sapere gestire bene proprio la fase iniziale dell’ammortamento, quando il debito da rimborsare è più elevato e gli interessi che incidono sulla rata sono, quindi, più sostanziosi. Con rate costanti lungo l’intero ammortamento (alla francese), la quota di capitale rimborsata tende a crescere sul totale del singolo importo sborsato, mentre quella degli interessi si riduce. Se ci trovassimo a pagare le ultime rate di un mutuo, che il tasso variabile sia diminuito o salito, poco importa. Ormai, graverebbe su un debito residuo basso, per cui l’incidenza sarebbe scarsa e tendenzialmente nulla con l’ultima rata.
Per fortuna, a fronte delle difficoltà di comprendere come si muoveranno i tassi da qui ai prossimi mesi e anni, esistono soluzioni che ci consentono di muoverci con maggiore serenità anche nel caso avessimo commesso un “errore” di valutazione. I mutui a tasso variabile con cap, ad esempio, pongono un limite al rialzo dei tassi, stabilendo a priori che gli interessi non supereranno mai una certa soglia, per cui il mutuatario è in grado di conoscere in anticipo l’ammontare massimo della rata che potrebbe essere chiamato a pagare. E oggigiorno sono sempre più frequenti i mutui che consentono al debitore di passare dal tasso fisso a quello variabile o viceversa anche più volte nel corso dell’ammortamento e senza costi aggiuntivi, semmai rispettando alcuni paletti temporali. Altri mutui, poi, offrono la possibilità al cliente di non subire alcun aggravio della rata nel caso di una lievitazione dei tassi a cui sono agganciati gli interessi, bensì di allungare o ridurre la durata dell’ammortamento, nei limiti minimi e massimi fissati tra 5 e 30 anni. Dunque, sale l’Euribor? Non pago una rata più pesante, ma il mio mutuo si allunga di durata da 23 a – poniamo – 25 anni. Viceversa, se l’Euribor scendesse.
Rinegoziazione del mutuo (la surroga del mutuo)
Infine, è sempre possibile la surrogazione o surroga del mutuo. Negli ultimi anni, mentre i tassi sono crollati ai minimi storici, gli italiani si sono precipitati in banca per rinegoziare il mutuo. Qualora la banca non lo abbia consentito, si è optati per accenderne uno nuovo in sostituzione dell’esistente presso un altro gruppo bancario, risparmiando anche notevoli risorse in anni di rate pagate.
Aldilà della tipologia contratta, gli interessi applicati dalla banca tendono a salire con l’aumentare del rapporto tra valore del mutuo e valore commerciale dell’immobile, essendo più alto il rischio credito. Una cosa sarebbe, infatti, concedere un prestito di 50.000 euro per l’acquisto di un immobile dal valore commerciale di 200.000 euro, un altro concedere sempre i 50.000 euro, ma legati all’acquisto di un monolocale dal valore commerciale stimato in 65.000 euro. Nel primo caso, l’istituto godrebbe di ampi margini per tutelarsi nel caso di inadempienza del cliente, nel secondo no.