Quante volte avrai pensato di investire almeno parte dei tuoi risparmi e ti sei fermato dinnanzi alla scelta su quali assets puntare? E quante volte sei stato disincentivato dalla scarsa o nulla conoscenza dei mercati finanziari, che spesso spaventano i più con le notizie frequenti di cali, crolli, perdite e miliardi evaporati?
In questa guida, vi forniremo alcune informazioni minime per potere operare nel mondo degli investimenti con la consapevolezza necessaria. A tale proposito, non possiamo prescindere dal trading online. Si tratta di un mondo sconosciuto a tanti di noi, ma che offre innumerevoli opportunità per tutte le tasche.
Cos’è esattamente il Trading online?
Parliamo di investimenti effettuati attraverso piattaforme online, che fungono da broker e che consentono al piccolo, così come al medio e grande investitore di operare su una varietà sterminata di strumenti finanziari, materie prime, valute e tassi per cercare di conseguire un profitto. Le operazioni avvengono “over the counter”, ossia all’infuori dei mercati regolamentati.
Il trader non deve far altro che scegliere il titolo, l’indice, la “commodity”, il tasso di cambio, “criptovalute”, etc., su cui operare. Se i prezzi sottostanti si muoveranno nella direzione sulla quale si è scommesso, otterrà un guadagno, che da virtuale diverrà reale con la chiusura della posizione. Nel caso così non fosse, incorrerà in una perdita. Vedremo di seguito le modalità con cui minimizzare le perdite nei casi avversi. Per intanto, vi serve capire che è possibile realizzare un profitto non solo quando i prezzi si muovono in rialzo, ma anche quando cedono, purché si è indovinata la loro direzione.
Nel concreto, per fare trading online bisogna registrarsi su una delle piattaforme presenti su internet, aprendo un conto, a sua volta collegato con il proprio conto corrente, dal quale sono stati prelevati i fondi per iniziare a operare. In genere, il broker fornisce al trader un gettone di benvenuto, una giacenza minima sul conto (spesso sui 100 euro) con cui partire per cercare di guadagnare.
Il consiglio che vi offriamo è di scegliere con accuratezza la piattaforma, verificando le recensioni online dei clienti presenti e passati e la loro registrazione presso almeno uno degli elenchi nazionali dell’Unione Europea, in cui debbano iscriversi coloro che intendono essere attivi nell’ambito degli investimenti e della raccolta del risparmio tra il pubblico. Se il sito risulta sprovvisto di tali autorizzazioni, meglio starne alla larga, in quanto si corre il rischio di non essere tutelati nel caso in cui si restasse vittime di una qualche truffa.
Come fare trading
Detto ciò, vediamo come procedere per gli investimenti. Per prima cosa, bisogna decidere la somma che s’intende puntare, ossia la massima perdita sostenibile. Dopodiché, arriva il passo successivo: l’individuazione dell’asset su cui puntare. Terzo: la scelta dello strumento finanziario con cui operare. Quarto: la direzione rialzista o ribassista su cui scommettere.
Prima fase: la cifra disponibile è quella massima da utilizzare per il singolo investimento. Attenzione proprio a questo punto, perché il margine che ci viene richiesto solitamente non coincide con l’esposizione complessiva, nel caso in cui stessimo operando a leva. Cosa significa? Di solito, se vogliamo scommettere 100 su un certo asset non ci viene richiesto di puntare tutta la cifra sin dall’inizio, essendo sufficiente il deposito di un margine. Ad esempio, se operiamo con leva 1:100, ci basterà depositare 1 solo euro, mentre i restanti 99 li metterà a disposizione fisicamente il broker. Tuttavia, restiamo esposti per l’intera somma e nel caso in cui i prezzi si muovessero sfavorevolmente e le perdite subite superassero il margine depositato, il broker solleciterà la reintegrazione dello stesso (“margin call”), altrimenti procederà a chiudere automaticamente la posizione.
Più alta è la leva, minore la cifra che dobbiamo depositare rispetto a quella puntata effettivamente, ma più alto il rischio di subire perdite che finanche azzerino il capitale depositato, perché sarebbero sufficienti variazioni percentuali relativamente basse per scalfirlo.
Di recente, l’Unione Europea ha introdotto nuove regole restrittive sul trading online con effetto dall’1 agosto 2018. L’ESMA, l’autorità di vigilanza sui mercati finanziari in UE, ha fissato a 1:30 la leva massima per le valute principali, a 1:20 quella per le valute secondarie, l’oro e gli indici principali, a 1:10 per le altre materie prime e gli indici secondari, a 1:5 per le azioni e a 1:2 per le criptovalute. Rispetto a prima, le limitazioni appaiono molto stringenti e sono volte a tutelare i piccoli investitori, spesso ignari dei rischi che effettivamente corrono operando con la leva finanziaria. In sostanza, se devo investire 30.000 euro sul cambio euro-dollaro, dovrò depositare un margine minimo, a seconda della richiesta del broker, di 1.000 euro. Se la stessa cifra intendo investirla in Bitcoin, dovrò sborsare subito 15.000 euro, mentre per l’oro 1.500 euro.
Se da un lato crescono così le tutele a carico del trader, dall’altro non è più possibile investire grosse cifre con piccoli margini, per cui gli avversi al rischio e i detentori di capitali relativamente bassi da investire risultano quasi tagliati fuori dal mondo del trading, con la conseguenza che potranno meno che in passato sfruttare le fasi rialziste o ribassiste sui mercati, la cui liquidità rischia di soffrirne.
Aldilà dell’avere investito o meno con la leva, si può impostare una funzione di “stop loss”, attraverso la quale limitare le perdite percentuali che s’intendono subire. Ad esempio, se ho investito 30.000 euro puntando sull’apprezzamento dell’euro contro il dollaro e ho fissato al 2% la perdita massima accettabile, significa che non “brucerò” più di 600 euro nel caso in cui l’euro andasse nella direzione opposta, ovvero s’indebolisse contro il dollaro più del 2%. Al raggiungimento di tale soglia, infatti, la posizione viene chiusa. Nella realtà, il broker opera con maggiore flessibilità, perché se davvero il trader non accettasse di subire perdite al di sopra di una percentuale molto bassa, il rischio sarebbe che minime variazioni negative dei prezzi automaticamente chiuderebbero la posizione, non consentendo la realizzazione dei guadagni o la mitigazione delle perdite successivi a un movimento immediatamente opposto.
La seconda fase, come dicevamo, consiste nello scegliere il tipo di asset su cui “tradare”. La varietà è vasta: si va dalle azioni alle obbligazioni, passando per le valute (Forex), le materie prime e gli indici. In genere, tale scelta avviene sulla base della propensione o meno al rischio, nel senso che un investitore tipicamente conservativo tende a comprare più obbligazioni e meno azioni, mentre uno maggiormente propenso al rischio tende a fare l’opposto. Tuttavia, nel caso del trading online questi ragionamenti vengono sostanzialmente meno, visto che l’obiettivo principale del cliente non è certo di detenere un asset per un periodo medio-lungo o attenderne persino la scadenza nel caso dei bond, quanto di realizzare una plusvalenza quanto prima, possibilmente anche nel giro di pochi secondi o minuti. Pertanto, poco e niente importa che si tratti di un asset a rischio o meno, quanto che la direzione dei suoi prezzi sia più o meno prevedibile e non eccessivamente volatile.
A questo punto, bisogna ammettere che scommettere su questo o quel titolo/indice, questa o quella commodity o valuta presuppone conoscenze di vario tipo. Anzitutto, di macro-economia: se i tassi si stanno muovendo in una certa direzione, dovrei essere in grado di capirne l’impatto sui prezzi degli assets finanziari. E alla pubblicazione di un dato macro dovrò preventivare l’influenza che esso avrà sul mercato, in relazione alle aspettative dello stesso. Per intenderci, se il Dipartimento del Lavoro negli USA comunica che nel mese precedente il tasso di disoccupazione è sceso ai minimi storici, sconterò un’accelerazione dell’inflazione, ossia anche un rialzo più marcato dei tassi, con tutte le conseguenze che si hanno per bond, azioni, etc.
Oltre alle conoscenze macro, però, dovrò anche disporne di più specifiche sul piano finanziario, cioè relativamente agli strumenti esistenti sui mercati, le tecniche di investimento e lo studio dei grafici per cercare di carpire i livelli dei prezzi ai quali vengono lanciati segnali di acquisto o di vendita (grafici a candela, etc.). Infine, dovrei possedere anche una solida conoscenza dei fondamentali del titolo che sto acquistando. Ad esempio, se investo in azioni Facebook, devo prima informarmi sulle sue ultime trimestrali, sui risultati attesi dal mercato e confrontarli con quelli nuovi pubblicati dalla società e analizzare l’andamento del titolo in un tempo dato (media mobile a x giorni, etc.).
La terza fase, quella dell’individuazione dello strumento con cui investire. Le soluzioni non mancano. Abbiamo i contratti di opzione, i futures, le vendite allo scoperto, i pronti contro termine, etc., e nel dettaglio il loro utilizzo dipende dal – e siamo alla quarta fase – tipo di scommessa che intendiamo portare avanti, rialzista o ribassista.
Quasi sempre siamo portati a pensare che si guadagna in borsa solo puntando sull’aumento delle quotazioni di un titolo, ma se così fosse ci sarebbero fasi in cui tutti guadagnerebbero e altre in cui tutti perderebbero. Non è così. Si può benissimo guadagnare anche quando si compie un investimento ribassista, ossia confidando in un calo dei prezzi. Come? Diverse le soluzioni. I contratti di opzione, ad esempio, sono di due tipi: call e put. Nel primo caso, si paga un premio per avere il diritto di acquistare un dato titolo (moltiplicato per le quantità pattuite) a un certo prezzo e a una certa data; nel secondo caso, per avere il diritto di vendere un titolo a un dato prezzo a una certa data. Chi acquista un’opzione call scommette, quindi, che il prezzo di mercato del titolo risulti superiore a quello pattuito con la controparte, mentre chi ne acquista una put punta a vendere un titolo a un prezzo superiore a quello che alla scadenza vigerà sul mercato. Ciò che consente di guadagnare nell’uno e nell’altro caso è la divergenza di previsioni rispetto all’altra parte sull’andamento futuro del titolo, perché l’acquirente di una call ritiene che il prezzo salirà più del livello pattuito, quello di una put che si attesterà su livelli più bassi.
I futures funzionano allo stesso modo, ma obbligano le parti a contrarre alla scadenza, per cui non vi è qui alcun premio da versare per avvalersi della facoltà di acquisto o di vendita. E le vendite allo scoperto o anche dette “short selling”? Una scommessa puramente ribassista: vendo un titolo che non ho, facendomelo prestare (con gli interessi) da un broker o impegnandomi con l’acquirente a consegnarglielo entro una certa data. Successivamente, dovrò acquistarlo sul mercato per effettuare tale consegna, confidando che nel frattempo il prezzo sia sceso, così che io abbia realizzato un margine di guadagno avendolo venduto a un prezzo superiore. Il rischio di una tale operazione consiste nella possibilità di perdite teoriche infinite, visto che le quotazioni dell’asset venduto possono salire senza limiti e infliggere costi di gran lunga superiori ai ricavi immediatamente conseguiti.
Le piattaforme di trading forniscono generalmente assistenza ai clienti, anche attraverso la somministrazione di grafici e analisi con cui cercare di renderli più consapevoli possibile. Esse guadagnano sulla base di modelli tra loro diversi e ai quali vi chiediamo di prestare attenzione. Possono essere imposte commissioni in misura variabile sugli investimenti effettuati, oppure fisse per ciascuna operazione di trading. In questo secondo caso, potrebbe risultare conveniente se si investono grosse cifre con poche operazioni. Nel primo caso, invece, la convenienza vi sarebbe se le operazioni di investimento sono tante e per somme relativamente basse.
Molti broker, però, lucrano imponendo una commissione minima alla differenza tra il prezzo di acquisto e quello di vendita. Il cosiddetto “spread” è generalmente su valori percentuali molto bassi e risulta, quindi, preferibile per il trader ad altre politiche perseguite. Occhio, però, a non scegliere l’una o l’altra piattaforma solo in funzione dei costi, avendo cura anche di verificarne la serietà, la performance e la conformità alla legislazione europea.