Le obbligazioni sono titoli di credito, che assegnano al titolare il diritto di percepire periodicamente un tasso di interesse in forma di cedola fissa o cedola variabile, nonché il rimborso del valore nominale indicato sui titoli medesimi. Come sappiamo, le obbligazioni possono essere emesse alla pari, sotto la pari o sopra la pari. A seconda del caso, quindi, esiteranno un rendimento rispettivamente uguale, superiore o inferiore a tasso di interesse offerto dalla sola cedola. C’è, però, un aspetto che andrebbe tenuto in considerazione prima di guardare al solo rendimento: la valuta di emissione del titolo. Quando investiamo in bond emessi all’estero o anche da società nazionali, dobbiamo verificare quale sia la valuta in cui è denominata l’obbligazione. Per svariate ragioni, un soggetto emittente potrebbe preferire finanziarsi sul mercato in una valuta differente da quella dello stato in cui avviene il collocamento. Ad esempio, una società per azioni con sede a Milano e quotata a Piazza Affari potrebbe trovare conveniente emettere bond in dollari, sterline, yen, etc. Perché? Essenzialmente per attirare capitali stranieri e cercare così di spuntare rendimenti quanto più bassi possibili o migliori condizioni alla scadenza, nel caso in cui i tassi di cambio andassero nella direzione sperata.
E proprio qui bisogna fare attenzione. Quando acquistiamo un’obbligazione in valuta straniera, dobbiamo farlo sulla previsione che il suo tasso di cambio contro la nostra moneta quanto meno non si deprezzi entro la scadenza o, comunque, entro il termine nel quale si vorrebbe rivendere a terzi il bond. Immaginiamo di acquistare alla pari un’obbligazione in dollari per 10.000 euro, scadenza 5 anni e con rendimento al 5% e che alla data dell’investimento, il cambio euro-dollaro sia di 1,20. Se alla scadenza il tasso di cambio sarà salito a 1,40, significa che i 10.000 dollari, che all’atto dell’investimento portarono a un esborso di 8.333,33 euro (al cambio di 1,20), adesso ci verranno restituiti per 7.143 euro, ovvero a circa il 16,6% in meno di quanto abbiamo speso. Di fatto, si tratta di una riduzione del rendimento effettivo. A fronte di un 25% complessivamente riscosso nel quinquennio, dall’andamento sfavorevole del cambio abbiamo perso il 16,6%, per cui il rendimento reale risulterà sceso intorno all’8,5%, tra l’1,5% e il 2% all’anno. Probabile che ci sarebbe andata meglio puntando su un bond di pari scadenza e rating, ma espresso in euro.
Ora, poiché le previsioni sui tassi di cambio, per quanto imperfette, vengono incorporate nei rendimenti, va da sé che quando il mercato si attende che la valuta nella quale viene emessa un’obbligazione tenderà a deprezzarsi, chiederà una remunerazione maggiore, nel caso contrario si accontenterà di una minore, rispetto al rendimento esibito da un bond in valuta locale.