Anche le banche, come qualsiasi altra società privata commerciale, industriale o finanziaria, hanno spesso bisogno di attingere alla liquidità sul mercato per rifinanziarsi. E lo fanno anch’esse, spesse volte, ricorrendo all’emissione di obbligazioni. Trattasi di titoli di credito, che assegnano a chi li possiede il diritto di riscuotere una cedola periodica (in genere, semestrale o annuale) fissa o variabile. Nel caso delle banche, la cedola a tasso variabile è generalmente legata all’Euribor per le varie scadenze. Per il resto, il meccanismo di funzionamento dei bond bancari si mostra del tutto simile a quello per i bond emessi dalle società non bancarie. All’emissione, i prezzi possono essere superiori, pari o inferiori al valore nominale di rimborso alla scadenza e, una volta emesse, anche le obbligazioni bancarie possono essere negoziate sul mercato secondario.
In realtà, esistono diverse differenze che sarebbe bene conoscere per non trovarsi impreparati nel caso in cui le cose si mettessero male. Come abbiamo scoperto sin dalla fine del 2015 con l’esplosione della crisi bancaria italiana, le obbligazioni emesse dagli istituti di credito possono anche fare molto male a chi le ha sottoscritte in fase di collocamento o acquistate da altri privati. Vediamo perché.
Oltre alle differenze tipiche tra le varie tipologie di bond (a cedola fissa, variabile, denominate in valuta nazionale o estera, convertibili in azioni), possiamo distinguere tra tre tipologie principali di obbligazioni bancarie: garantite (covered bond), senior e subordinate.
Le obbligazioni garantite sono, come fa intendere lo stesso nome, pongono l’investitore in una sorta di botte di ferro. Quand’anche la banca fallisse, l’obbligazionista non subirebbe alcuna conseguenza negativa. Ciò, perché formalmente la banca, all’atto dell’emissione di questi bond, è tenuta a coprirli con un patrimonio separato dal resto dell’istituto, non aggredibile dagli altri creditori. In effetti, sono così sicuri, che i covered bond offrono di solito rendimenti bassissimi, essendo molto basso anche il rischio corso con il loro acquisto.
Diversa è la situazione per le obbligazioni senior, dette così, perché come vedremo sono superiori per tutela accordata alle obbligazioni subordinate. Presentano caratteristiche del tutto simili alle obbligazioni ordinarie emesse da società non finanziarie, se non fosse che con la “Bank recovery and resolution directive”, ovvero la direttiva UE 2014/59, è stato introdotto il cosiddetto “bail-in”, un criterio in base al quale le banche, nel caso di rischio crac, potranno ricorrere al soccorso pubblico nazionale ed europeo solo dopo che avranno partecipato alle perdite, nell’ordine: gli azionisti, gli obbligazionisti senior, gli obbligazionisti subordinati, i correntisti per la quota superiore ai 100.000 euro delle loro giacenze depositate. Tale partecipazione dovrà avvenire per l’8% della massa passiva. Pertanto, una volta azzerate le azioni, si passa a tagliare il valore nominale dei bond senior per la quota ancora necessaria alla copertura delle perdite, e così a continuare fino al risparmiatore vero e proprio.
Rispetto al passato, quindi, è stato messo nero su bianco che anche gli obbligazionisti senior dovranno essere coinvolti nelle perdite per il caso in cui la banca necessiti di essere sottoposta a risoluzione. Questo ha scatenato un fuggi fuggi anche da questi titoli, che fino a qualche anno fa venivano considerati allettanti, in quanto mediamente redditizi e relativamente sicuri.
Passiamo adesso alle obbligazioni subordinate, il vero spauracchio dopo la crisi iniziata nel 2015. Si tratta di bond, che dietro il solito diritto assegnato al titolare di riscuotere una cedola periodica e il rimborso nominale alla scadenza, presentano il rischio – questo già prima della disciplina sul bail-in – di venire coinvolti in varie modalità al ripianamento delle perdite subite dall’istituto. A seconda del tipo, infatti, la cedola può essere sospesa o perduta e il capitale stesso può subire una decurtazione in fase di rimborso (Tier 1); la cedola può essere differita e quasi mai il capitale verrà decurtato (Upper Tier 2); la cedola non può essere differita o annullata, né il capitale tagliato (Lower Tier 2); la cedola raramente può essere differita (Tier 3).
Pertanto, non tutte le obbligazioni subordinate si mostrano uguali tra loro. Le più rischiose appaiono quelle del tipo Tier 1 e molto bene le Upper Tier 2, fatto salvo che tutte sono soggette alla clausola di subordinazione del “bail-in”, ovvero saranno oggetto di coinvolgimento nelle perdite subito dopo che la stessa sorte sia toccata agli azionisti e prima degli obbligazionisti senior, i quali potrebbero anche cavarsela, se le risorse a cui la banca avrà attinto tramite azioni e obbligazioni subordinate siano state in grado di coprire l’8% degli attivi, la percentuale minima fissata prima di accedere a un salvataggio pubblico.
Facciamo un esempio per capire meglio. Immaginiamo che una banca abbia capitale pari a 100 e una massa passiva pari a 2.000 (debiti). Se va in risoluzione, l’8% del passivo (160 su 2.000) dovrà essere attinto da azionisti e creditori. Nel caso specifico, azzerato il capitale pari a 100, restano 60 ancora da recuperare dagli obbligazioni subordinate. Supponendo che il valore nominale di queste ultime fosse pari a 50, verrebbero interamente azzerate, restando ancora un 10 da recuperare. Toccherebbe, a questo punto, alle obbligazioni senior, che per ipotesi hanno valore pari a 1.000. Ne consegue che verranno intaccati per appena l’1% del loro valore (10 su 1.000).
Questo ci spinge a consigliare non tanto un’automatica esclusione di tali prodotti finanziari per il rischio che presentano, quanto una valutazione attenta, caso per caso. Maggiore la massa passiva in rapporto al capitale bancario, più alte le probabilità per gli obbligazioni subordinati di essere espropriati di almeno parte dell’investimento. Se, invece, il valore di questi bond fosse elevato rispetto al totale della massa passiva, avrebbero poco da rischiare gli obbligazionisti senior, i quali potrebbero confidare sull’eventuale previo esproprio dei subordinati.
Aldilà di quanto sopra spiegato, esiste un’oggettiva difficoltà ulteriore legata a questo tipo di obbligazioni, ovvero la scarsa liquidità che ne caratterizza le negoziazioni sul mercato secondario. Ciò significa che, com’è capitato a parecchi obbligazioni subordinati italiani negli ultimi anni, nel caso in cui volessero vendere i titoli a terzi, avrebbero bisogno di tempo per farlo, dato la scarsa presenza di offerenti da una parte e richiedenti dall’altra.