Sin dai primi tempi in cui sono state introdotte, le black list hanno realizzato una vera e propria mappatura delle giurisdizioni che, secondo l’amministrazione fiscale italiana, potevano porre problemi in termini di cooperazione con le autorità tributarie del Bel Paese: così pian piano, tutti i principali centri finanziari offshore del pianeta, sono stati poi inglobate in questa “lista dei dannati”, ponendo problemi nelle relazioni commerciali tra queste nazioni e l’Italia.
Poi, come abbiamo già avuto modo di sottolineare in altre occasioni, il vento del cambiamento è soffiato a livello globale, su impulso dell’OCSE, spingendo le nazioni a stringere nuove convenzioni contro le doppie imposizioni che hanno introdotto lo scambio di informazioni, con l’Italia che è riuscita così ad ottenere la revisione delle CDI con giurisdizioni quali Hong Kong, Principato di Monaco, Liechtenstein, Singapore e Svizzera.
La conseguenza della stipulazione di questi nuovi trattati internazionali, è stata principalmente l’aggiornamento delle diverse black list emanate in Italia, sebbene non tutte quante siano state toccate da queste revisioni, come nel caso della prima e famosa black list (quella realizzata per il tramite del DM 4 maggio 1999) relativa alle persone fisiche, in cui le giurisdizioni sopraelencate sono ancora (al momento) tutte iscritte.
In alcuni casi, come con il Principato di Monaco e il Liechtenstein, l’Italia non ha modificato nemmeno la black list dedicata alle Controlled Foreign Companies (emanata con il DM 21 novembre 2001), mantenendo di conseguenza invariata nella sostanza la situazione sfavorevole nell’intrattenere rapporti commerciali con le aziende che abbiano sede all’interno di queste giurisdizioni.
In modo particolare, la permanenza di questi due paesi nella black list, comporta l’applicazione degli artt. 12 e 12 bis e 2-ter del DL 78/09, che vanno a colpire da una parte investimenti e attività finanziarie nei paesi, perché conseguiti con redditi sottratti alla tassazione ordinaria e, ancora, con il raddoppio del periodo di prescrizione relativamente alle attività di monitoraggio fiscale e di accertamento dei redditi su tale presunte violazioni.
Oltre a queste due misure, le conseguenze della black list sono anche il raddoppio delle sanzioni amministrative previste dall’art. 5, comma 2 del DL 167/90. In seguito, la black list DM 21 novembre 2001 è stata emendata con i DM 30 marzo 2015 e DM 18 novembre 2015, con il risultato che nell’anno corrente, le giurisdizioni fiscalmente privilegiate vengono indicate solo se il livello nominale della tassazione risulti essere inferiore alla metà di quello stabilito in Italia.
La prima white list – prodotta dal DM 4 settembre 1996 – è stata ora aggiornata dal DM 9 agosto 2016, e ad oggi viene utilizzata per stabilire quali siano i soggetti fiscali residenti in giurisdizioni in cui è possibile approfittare dell’esenzione dell’imposta sostitutiva relativamente agli interessi derivanti dalle obbligazioni e i titoli dei grossi debitori, così come individuati dal DLgs 239/1996. La stessa lista è utilizzata anche per stabilire quali siano le giurisdizioni non collaborative, per le quali sia necessario compilare il quadro RW.
All’interno di questo quadro molto contorto, in effetti, si presentano situazioni paradossali, come per esempio quella della Svizzera che – pur avendo sottoscritto la nuova convenzione contro le doppie imposizioni – è stata inserita nella White List 1996 (con l’aggiornamento 2016) pur restando compresa nella black list delle persone fisiche del 1999. Tempo fa era stata preannunciata la possibile cancellazione di questa giurisdizione (e delle altre che hanno rivisto le CDI con lo scambio di informazioni sul modello OCSE) dalla BL: quando avverranno questi cambiamenti?
Quando l’Italia adotterà un quadro normativo chiaro ed intelligibile – anche parte dei non addetti ai lavori – in un ambito complesso come quello della fiscalità?